Con il patrocinio del Comitato Regionale Veneto per le Celebrazioni del Centenario della Grande Guerra

 

 

L’iniziativa rientra nel programma ufficiale delle Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Struttura di Missione per gli anniversari di Interesse Nazionale.

 

 

 

 

Amendola e il mio incontro col il G91

 

 

 

Abbiamo viaggiato tutta la notte, Daniele ed io, su quel treno che partito da Milano ci ha portato a Foggia.

 

Durante la breve licenza di fine corso non potevo staccare gli occhi da quell’aquila che mi era stata appuntata sul petto: non aveva ancora la corona sulla testa ma è stato un passo di enorme importanza per me. Un caro amico, di un corso precedente al nostro, ci ha scarrozzato con la sua auto fino ad Amendola. È strano a volte il destino: quel caro amico che ci ha portato fino all’ingresso della S.V.B.A.A. ci lascerà poi in un incidente col 104 qualche tempo più tardi. Toccavo il cielo con un dito passando sotto il portale della “Fenice” ben sapendo che proprio in quel luogo si poteva coronare il sogno della mia vita: entrare a far parte dei reparti da caccia della A.M.!! Ricordo come fosse ieri le indimenticabili sensazioni che ho provato, una volta ricevuto il “pass”, camminando lungo il viale principale che ci portava alle due palazzine allievi nella bellissima, calda e assolata mattina di inizio estate: per me Amendola rimane la base degli filari di eucalipto, delle cicale e del profumo di cherosene; quanto mi manca quel profumo, quanto mi manca il frinire di quelle migliaia di cicale: suoni e odori della mia gioventù spalancata sulla vita e sul futuro. Le palazzine allievi, che ricordavano gli alloggi dei piloti nelle basi americane dei film d’aviazione dell’epoca letteralmente divorati da noi pinguini, erano posizionate relativamente vicine alla testata nord della pista.

 

Noi due eravamo gli ultimi: gli altri nostri quattro compagni erano già arrivati. Ebbene sì: erano più di 2000 le visite mediche presso i tre IML dell’Aeronautica; a Pozzuoli iniziammo l’avventura in 40 ed ora, qui ad Amendola, ci guardiamo in faccia in sei: da non credere !!!Mi domandavo come mai tanta fortuna, il sogno era lì fuori che ruggiva!!! Entra l’Ufficiale di Picchetto che ha l’ordine di accompagnarci dal Comandante del Reparto Volo. Durante il tragitto ci spiega che qui non esistono adunate, capi corso e quant’altro a cui eravamo abituati a Lecce: ognuno era responsabile di se stesso, quasi come al Reparto, e se l’aria che si respirava al Reparto era questa allora ero a cavallo. All’entrata della palazzina Comando le pareti sono letteralmente tappezzate da targhe in ottone con i nomi dei piloti brevettati divisi per corsi, sia regolari che AUPC: il mio nome doveva essere scritto tra questi e tramandato ai posteri. Chissà se queste targhe sono tutt’ora esposte oppure sono finite in qualche scatolone pieno di polvere !!! Il colloquio con il Comandante del Reparto Volo fu, come di consuetudine, stringato: in pratica erano tutti membri nostri e per mettere la corona sull’uccello dovevamo tirare fuori le biglie… Acconsentì, però, alla nostra richiesta di poterci recare in linea volo e ci mise a disposizione anche un pullmino. Salimmo ordinatamente e ci sentivamo come sei bambini in attesa di scartare il regalo di Natale. Il Capo Linea ci assegna un velivolo raccomandandoci di non toccare nulla per non fare guai. Rimaniamo letteralmente a bocca aperta. Non so se avete avuto la fortuna di vivere in una line di volo che si perdeva a vista d’occhio sotto il sole cocente e l’asfalto che luccica per il caldo: cartucce  per la messa in moto che soffiano, turbine che girano, ondate di odore di JP4 che il vento ti costringe a respirare, autobotti che fanno rifornimento, piloti che danzano attorno agli aerei eseguendo  i controlli e  compilano i libretti di volo, capì velivolo che segnano il via libera agli equipaggi che  escono dal parcheggio, velivoli in apertura e in circuito di atterraggio, irate di “stretti” in continuazione, musetti di aerei che caricano l’ammortizzatore anteriore schiacciandosi sulla pista per lo sbocciare di  parafreni bianchissimi e gonfi. E’ una attività frenetica che rimpiangerò per tutta la vita e che suscita emozioni che auguro di vivere a qualsiasi nuovo giovane pilota. Eccolo il G91T. E’ amore a prima vista. Ci avviciniamo con quel reverenziale rispetto che hanno coloro che sono coscienti di avere davanti il mezzo che li porterà a compiere il proprio destino a patto di esserne degni. Sarò degno io di cavalcare quella splendida macchina??? È sicuro che ci metterò l’anima. Mi avvicino al musetto toccando delicatamente i vetrini delle macchine fotografiche e accarezzando il raccordo con l’enorme vorace bocca spalancata pronta a divorare aria per la turbina. E’ alto e grosso rispetto al 326.Non è tutto colorato di arancione ma la sua livrea è mimetica come i velivoli da combattimento. Le ali sono belle robuste fatte per sopportare un bel carico di “G”. Abbassandomi posso agevolmente guardare la superficie inferiore dell’ala ,cosa che era difficile da fare sul Macchino ,e poi i capienti serbatoi alari , e poi la coda altissima messa li apposta per portare disegnata lo stemma nero della Fenice bianca e gialla, e poi lo sportellino aperto per  ricevere il pacco del parafreno ,e come non ammirare i  due tettucci alzati che sembrano due penne conficcate nel  casco degli indiani (guarda tu li destino…..) Salgo sulla scaletta anteriore e finalmente posso ammirare l’abitacolo: con mille precauzioni prendo posto nel seggiolino; sono al settimo cielo. Allungo le gambe per raggiungere la pedaliera come sempre troppo distante per me e delicatamente impugno la cloche: è il punto di contatto tra me e Lui e come al solito nella mia vita, le prime sensazioni sono quelle che contano. Sono sicuro che andremo d’accordo e quella certezza Lui l’ha trasmessa anche agli altri suoi compagni di linea perché, come ho già avuto modo di dire, tra di loro, nei momenti di riposo, gli aerei si parlano. Un aviatore e scrittore, Ernest Gann, ha scritto: “ci sono due tipi di aeroplano: quelli che piloti tu e quelli che ti pilotano. Fin dall’inizio devi avere un’idea molto chiara di chi sia il capo. L’importante è che ci sia reciproco rispetto. Non so se ve ne siete mai accorti ma ogni velivolo ha un suo caratteristico odore: lui odorava di cordite, di ossigeno respirato ad alta quota e di strumenti. Sono odori che non si possono descrivere ma chi ha avuto la fortuna di sentirli non può più dimenticarli e come un bravo sommelier li riconoscerebbe fra mille altri.

 

Il cruscotto era lì davanti a me carico di strumenti, che dovrò imparare a leggere ed interpretare, pieno di maniglie gialle e nere, che dovrò tirare con assoluta padronanza al momento giusto, e poi piroli e pirolini: quanti sono !! Ognuno ha un suo specifico compito che dovrò sapere alla perfezione per permettere quella indispensabile simbiosi tra me e Lui. Mi guardo attorno e, girando la testa a destra e a sinistra, non vedo, come sul Macchino, le tips arancioni e nere, alle estremità delle ali che ti aiutavano   a controllare   il tuo assetto nello spazio e sull’orizzonte. Davanti a me ho incontrato per la prima volta il collimatore strumento diventato per me tanto caro. Provo a chiudere un poco il tettuccio, non del tutto in quanto c’è la scaletta, per trovare un po’ di intimità: penso proprio che diventeremo amici !!! E ora di andare e di tornare coi piedi per terra. Ci attende la prima lezione di traffico aereo….. La strada è stata lunga e non sempre facile, anzi, ma alla fine la targhetta di ottone con incisi i nostri sei nomi siamo riusciti ad appenderla tra tutte le altre.